L’altro giorno, a casa di amici, parlavo di Tarocchi e ho notato che uno di loro mostrava un certo imbarazzo in merito. Lo vedevo in qualche modo intimorito, a disagio, e ho capito che questa sensazione era determinata soprattutto dal fatto che nel mazzo ci sono due carte un po’ particolari: la Morte e il Diavolo.
Vorrei perciò affrontare la spiegazione di entrambi questi arcani per rassicurare e tranquillizzare coloro che pensano che i Tarocchi nascondano qualcosa di nefasto, di oscuro, o addirittura di satanico.
In questo articolo parlerò della Morte.

La Morte è la tredicesima lama degli Arcani Maggiori, e in alcuni mazzi è chiamata anche l’arcano senza nome, proprio per esorcizzare il lato oscuro di questa carta.
E’ generalmente rappresentata come uno scheletro con una falce in mano e sullo sfondo compare un sole in procinto di sorgere o tramontare (a sottolineare l’ambivalenza del suo significato), ma, come ho più volte spiegato, l’iconografia cambia a seconda del mazzo che si utilizza.
Questa carta è legata alla natura effimera delle cose: tutto passa e per fare spazio al nuovo è necessario abbandonare il vecchio. Vita e morte sono aspetti della stessa medaglia, ma non è un presagio così negativo come si può pensare ed è quasi impossibile che parli di morte in senso letterale.
La morte è infatti spesso accompagnata dall’idea di rinascita: è una trasformazione, una distruzione necessaria, un cambiamento che spesso fa paura, ma a cui non ci si può opporre. E’ un distruggere che porta alla rigenerazione, è il recidere un passato ormai ingombrante, logoro e non più utile alla propria esistenza. Invita a lasciarsi alle spalle qualcosa senza rimorsi: è il momento di chiudere un ciclo, perché solo mettendo fine a un capitolo della nostra esistenza ci diamo la possibilità di cominciarne uno nuovo.
Può rappresentare un rinnovamento fisico, concreto: la fine di un rapporto di lavoro, di una relazione sentimentale, di un proprio status e l’inizio di qualcosa di completamente nuovo e diverso.
Può però anche avere a che fare con una dimensione più spirituale: si abbandona un lato di sé per dar vita a un’identità completamente nuova, rigenerata. Si tratta quindi di una trasformazione molto profonda, decisiva e talvolta drastica, che si accompagna a un inizio fresco e innovativo.
Può indicare anche la necessità di purificarsi da qualcosa: nel momento in cui qualcosa si rompe o finisce, anche dentro di noi avviene un cambiamento (o forse è proprio il cambiamento interiore che manifesta la trasformazione esteriore) e quindi è necessario “pulirsi”, disintossicarsi dall’attaccamento con il passato, in modo da prepararsi a quello che sta per arrivare. Dobbiamo creare in noi le condizioni ideali per accogliere il nuovo.

E’ una carta dinamica, attiva, con tempistiche abbastanza veloci, e invita a riprogrammare la propria vita, a considerare nuove opportunità e cambiamenti. E’ l’invito a lasciare andare, creare il vuoto per fare spazio al pieno. Se si sta attraversando un periodo di stasi e stagnazione, questo arcano rappresenta uno sblocco, un’evoluzione inaspettata delle circostanze.
Può essere considerata come arcano positivo o negativo a seconda del proprio atteggiamento nei confronti dei cambiamenti. Se siamo aperti alla vita, alle sue risorse, alle sue sorprese e abbiamo fiducia in ciò che è e che sarà, questa carta non ci apparirà mai come una minaccia, ma come un’opportunità di evolvere, di crescere e cambiare. A volte i cambiamenti sono dolorosi, talvolta richiedono energia e pazienza e spesso ci sentiamo impreparati ad affrontarli, specie se ci troviamo in condizioni favorevoli, ma non sempre quello che appare come ostacolo lo è davvero.
Non sono una persona fatalista, ma credo che abbiamo un percorso da compiere e se la vita ci offre determinate circostanze c’è sempre un motivo. Forse lo scopriremo qualche tempo dopo, o a distanza di anni, o forse mai. Ma credo che a volte avere semplicemente fede in ciò che è sia l’atteggiamento più saggio con cui affrontare quello che la vita ci mette davanti.